“L’arte mi sembra consistere nella sublimazione e traduzione in immagini, secondo il linguaggio delle forme, dei colori, degli spazi, ed anche delle note e delle parole, degli stati estremi di tensione e degli stati di grazia.”

“L’architettura è l’espressione, nello spazio, di una sintesi perfetta tra arte, scienza e tecnica, utilità e funzione, fantasia e ragione.”



Nato e cresciuto a Ravenna il 29 febbraio 1928 in una  famiglia di artisti, padre pittore e madre pittrice e musicista, in giovane età frequenta il Liceo Artistico di Ravenna, che lo orienta alla scelta della Facoltà di Architettura dopo il diploma.

Si iscrive all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV), presso il quale è allievo di Bruno Zevi, Ignazio Gardella, Franco Albini, Giuseppe Samonà, Giovanni Astengo, e dove si laurea con il massimo dei voti nel 1957.

Il periodo universitario esercita una forte influenza sulla sua produzione successiva, che lo vede attivamente coinvolto in varie collaborazioni: la più significativa è quella con l’amico e collega Gino Gamberini, con il quale il sodalizio dura per più di dieci anni; altre di rilievo sono quelle con Sandro Gatti, Giorgio Piani, Renzo Stumìa, Leonardo Cordone, Giuseppe Grossi e Roberto Raffoni.

Iscritto all’ordine degli architetti della Provincia di Ravenna, è considerato uno dei professionisti più rappresentativi che abbia operato nell’area ravennate tra il 1960 ed il 1980, dove si concentra gran parte del suo lavoro.


"Grande è stato lo sforzo che ho dovuto compiere, finita la guerra, per liberarmi di quanto avessi acriticamente acquisito, per individuare e verificare i concetti per me realmente necessari, pienamente significativi, degni di essere promossi a ragione permanente di vita.

Ho fatto poi tutto il possibile, finita l'università, perché il mio lavoro non si riducesse mai a mestiere; ho evitato compromissioni, ho avuto sempre rispetto di me stesso.
Ho vissuto e vivo senza riferimenti metafisici; ho sempre fatto i conti soltanto ed esclusivamente con la mia coscienza.

Ho amato ed amo la vita in tutte le sue manifestazioni più belle; la natura, ciò che gli uomini hanno creato come espressione del proprio spirito, la poesia, l'arte, la musica. Amo la vita perché è amore. In questo momento sento dentro di me esistere, intatte, inquiete potenzialità di espressione e di apertura
verso la vita. È questo che mi rende insoddisfatto e nello stesso tempo proteso, con ansia e speranza, verso la vita che mi resta."






Questo sole di luglio
feroce, implacabile
incombe
come una pressa rovente
sui cippi votivi e sui pini
(soltanto le tortore
volteggiano senza peso),


lievi brezze
che emergono dal nulla
mi portano a tratti
dal tappeto smagliante di ieri
disteso sulla bianca pietra
che ti ricopre .
l'anima che esala
dai gigli e dalle amarillidi
che illanguidiscono nell'arsura.


Anche noi, compagno e amico
per una cosi greve vita,
in questo tempo
in cui tutto sembra affondare
incapace di nobili equilibri
e l'aria e il mare
e la comunità stessa degli uomini,
nella tristezza illimitata,
increduli, castigati, non raggiunti,
finiamo, piano; altrimenti.


Anche noi, cui sono dati prossimi orizzonti,
peregriniamo ormai soltanto
fra le tombe e le memorie.



A Gino ( + 5 luglio 1989)
DANILO NAGLIA. 6 luglio 1989